M. Arensi, Il naturalismo materico di Alessandra Rovelli, presentazione in catalogo, rassegna d’arte Oldrado da Ponte, Lodi, Maggio 2010
Il naturalismo materico di Alessandra Rovelli
L’eredità del naturalismo lombardo, riletta alla luce di una personale ricerca che ha la materia come fondamentale elemento linguistico, guida il percorso di Alessandra Rovelli. Un tracciato giovane, ma incanalato lungo linee che senza cedimenti verso facili sperimentazioni sembrano conoscere una meta e i mezzi per raggiungerla.
Per noi abitanti di pianura è di familiare presenza lo sfondo paesaggistico da cui la pittrice fa nascere le visioni dei campi che accentrano da protagonisti il suo interesse tematico. E allo stesso modo è avvertibile il retroscena storico-artistico che segna il punto di origine di questa avventura creativa, riconducendo all’iconografia paesaggistica esaltata nel secolo scorso dai cantori della pianura, agli stessi campi dipinti da tanti pittori toccati dalla medesima fascinazione per questa terra. Trasposti sulle tele della Rovelli diventano il luogo di una rivisitazione che, nel tempo dei sempre più audaci sconfinamenti del fenomeno artistico, continua a considerare la natura come prima maestra.
Per la Rovelli non è altra natura se non quella da sempre vista e vissuta nel paesaggio avvolgente la nativa Rivolta d’Adda, dove il respiro della pianura si esalta all’incontrarsi di terre lodigiane e milanesi, cremonesi e bergamasche: spazi che la contemporaneità non ha cambiato nella loro capacità di impersonare un dialogo della memoria tra uomo e natura, scandito secondo i ritmi primigeni della vita e delle stagioni che ancora restano come nostalgia di certezze nel ricordo di tanti; le visioni evocate da Alessandra Rovelli sono le stesse dell’immaginario collettivo.
Lungo il raccontare visivo che riflette il forte legame geografico l’artista trova il punto di congiungimento tra passato e presente. Lo fa innestando sulla tradizione studiata all’Accademia di Brera l’invenzione di personali espressività messe a punto negli anni del cammino pittorico, breve eppure costellato di riconoscimenti tra i quali la vittoria del Premio Luigi Brambati e del Premio Maccagno, o come le tante segnalazioni di merito. Nella rivisitazione che ha incontrato la libertà espressiva di Kiefer e gli orizzonti remoti dei suoi paesaggi, ma anche la genialità materica del lombardo Ennio Morlotti, i luoghi dove si è consumata la storia dell’uomo non restano immagini di un vissuto artistico retrospettivo; l’autrice li proietta nel pensiero del suo tempo, li spoglia di presenze per cercarne l’anima, distesa in strutture compositive semplificate dove l’essenzialità delle linee e la monocromia, attestata intorno alle variazioni dei bruni, insegue il sentimento del paesaggio più che la sua descrizione.
Protagonista è la materia: non quella pittorica ma l’essenza stessa dei campi, la terra che Alessandra trasporta sulle tele nella sua sostanza fisica e alla quale affida la costruzione di ampie superfici. Impastata, modellata con l’esperienza derivata dalla formazione di tecnico ceramista alla Scuola dell’Umanitaria di Milano, la terra deposita sul quadro l’essenza dei campi e ne riproduce le trame naturali: solchi, fenditure e frammenti di zolle ricreano nella consistenza fisica il paesaggio da cui sono venute, disegnando le prospettive che si innalzano verso i “cieli di Lombardia” dagli orizzonti ribassati. Nella primarietà dei materiali corposi e dei loro colori innati, accesi di luce dalla vicinanza dei bianchi, l’artista trova la pace e il silenzio delle origini, ripensato nell’emozione dei campi innevati o nel calore delle stoppie autunnali ceduto da inserti di paglia e filamenti vegetali. Sono anche questi, insieme alla cenere e al carbone, gli interpreti del naturalismo materico di Alessandra Rovelli che lo propone con lo slancio di chi, nel mare aperto di un cammino in evoluzione, ha solidità di idee e di mezzi espressivi e ne trae coerenti motivi iconici, soprattutto quando con maggiore leggerezza deposita gli strati terrosi sulla tela.
Nelle opere più recenti sono comparsi gli edifici, le fabbriche intervenute nel vissuto antico degli scorci padani. Lo sguardo dell’artista le assimila registrando le immagini di un mutamento epocale: ma si tratta di presenze che restano indistinte sugli sfondi, confuse con il biancore del cielo cui fa da contrappeso in primo piano il vigore della terra, trionfante e inalterato nella sua immediatezza. Perchè è lo sguardo di Alessandra a restare immutato: ravvicinato sulla natura, e insieme esteso verso la vastità dei suoi spazi.
Marina Arensi